Ufficialmente al lavoro, beccato a chiacchierare coi colleghi: legittima la cacciata del dipendente

Decisivo l’operato di un’agenzia investigativa, che ha monitorato il lavoratore su incarico dell’azienda

Ufficialmente al lavoro, beccato a chiacchierare coi colleghi: legittima la cacciata del dipendente

I controlli difensivi effettuati, mediante agenzia investigativa, dal datore di lavoro sono legittimi se finalizzati ad accertare comportamenti illeciti del lavoratore e lesivi del patrimonio e dell’immagine aziendale, non riconducibili al mero inadempimento dell’obbligazione contrattuale. Tali controlli sono consentiti anche per verificare condotte potenzialmente integranti illeciti penali o fraudolente, specialmente quando la prestazione lavorativa si svolge al di fuori dei locali aziendali. Questo il principio fissato dai giudici (ordinanza numero 27610 del 24 ottobre 2024 della Cassazione), i quali hanno di conseguenza reso definitivo il licenziamento disciplinare del dipendente di un’azienda operativa nel settore dei servizi ecologici. Nello specifico, l’uomo è stato spesso beccato a dedicarsi, unitamente a due colleghi, ad incontri all’interno di esercizi commerciali in orari di lavoro, incontri che non si esaurivano nella degustazione di consumazioni varie o, se del caso, nell’espletamento di bisogni fisiologici all’interno delle strutture, ma continuavano in ameni colloqui all’esterno degli esercizi commerciali dove il lavoratore trascorreva gran parte delle pause non autorizzate. A rilevare, poi, la lunghezza di tali pause, che non duravano il tempo necessario a ristorarsi, trattandosi di incontri che duravano tra i 30 e i 40 minuti e in cui la gran parte del tempo era trascorso nel colloquio successivo alla consumazione della colazione. E le reiterate violazioni dei doveri di ufficio sono risultate tanto più gravi poiché compiute da un soggetto che rivestiva un ruolo apicale all’interno dell’azienda, con funzioni di responsabilità e coordinamento di altri dipendenti, nell’ambito di un servizio di particolare importanza quale quello della raccolta dei rifiuti. In generale, poi, il sostare costantemente in luoghi pubblici, per tempi irragionevoli, a degustare consumazioni e chiacchierare con i colleghi, con l’inevitabile percezione da parte del cittadino di tale deprecabile prassi, ha finito per arrecare pregiudizio al decoro aziendale e alla immagine che di essa si crea nella cittadinanza. Sacrosanto, quindi, il licenziamento, anche perché la condotta ha assunto rilievo penale, ossia quello della truffa, in quanto il mancato svolgimento della prestazione lavorativa nei termini in cui era dovuta, per avere il lavoratore goduto di reiterate pause decise unilateralmente e arbitrariamente, seguita da inveritiere attestazioni dei fogli di servizio dell’integrale osservanza dell’orario pattuito, ha determinato l’ingiusta percezione di una retribuzione parzialmente non dovuta con correlativo danno per l’azienda. E, ad ogni modo, pur prescindendo dalla configurabilità del reato di truffa, la complessiva condotta, in quanto idonea a raggirare il datore di lavoro che fa affidamento sul corretto svolgimento della prestazione, costituisce fatto che, anche per via della sua sistematicità, è idoneo a recidere il vincolo fiduciario. A fronte di tale quadro, è da ritenere legittimo anche il controllo compiuto dall’agenzia investigativa su incarico della società datrice di lavoro. Anche tenendo presente che la nozione di patrimonio aziendale tutelabile in sede di esercizio del potere di controllo dell’attività dei lavoratori va intesa in una accezione estesa, riconoscendo il diritto del datore di lavoro di tutelare il proprio patrimonio, costituito non solo dal complesso dei beni aziendali, ma anche dalla propria immagine esterna, così come accreditata presso il pubblico.

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