Liquidazione del patrimonio: il debitore non può impugnare il decreto di formazione dello stato passivo

I giudici pongono in rilievo la posizione del liquidatore quale rappresentante della massa dei creditori, il quale esercita prerogative proprie dei creditori e non in qualità di avente causa del debitore

Liquidazione del patrimonio: il debitore non può impugnare il decreto di formazione dello stato passivo

In materia di procedura di liquidazione del patrimonio, non sussiste la legittimazione del debitore sovraindebitato a impugnare il decreto di formazione dello stato passivo, attesa la posizione del liquidatore quale rappresentante della massa dei creditori, il quale esercita prerogative proprie dei creditori e non in qualità di avente causa del debitore.
Questo il principio fissato dai giudici (ordinanza numero 11447 del 30 aprile 2025 della Cassazione), i quali hanno perciò respinto l’azione proposta, nell’ambito della procedura di liquidazione del suo patrimonio, da una soggetto sovraindebitato.
Nello specifico, sono ritenute non accettabili le obiezioni mirate ad impugnare le ammissioni dei crediti allo stato passivo della procedura di liquidazione del patrimonio.
In generale, in materia di procedimento fallimentare, è stata esclusa la legittimazione del fallito a impugnare i provvedimenti adottati dal giudice delegato in sede di formazione dello stato passivo, non solo perché privi di definitività e con efficacia meramente endoconcorsuale, ma anche per quanto disposto dalla legge fallimentare, che sancisce, per i rapporti patrimoniali del fallito compresi nel fallimento, la legittimazione esclusiva del curatore. Impostazione, questa, corroborata dalla considerazione che il decreto con cui il giudice rende esecutivo lo stato passivo non è suscettibile di denunzia con rimedi diversi dalle impugnazioni tipiche ivi disciplinate, esperibili soltanto dai soggetti legittimati, tra i quali non figura il fallito.
Tali principi operano, precisano i giudici, anche in tema di procedura di liquidazione, ancorché in mancanza di norma denegativa espressa, dovendosi ritenere che il liquidatore si sostituisce al debitore nei rapporti patrimoniali del debitore e che in sede di formazione dello stato passivo non vi è alcuna legittimazione del debitore a impugnare. Depone in tal senso, in primo luogo, l’equiparazione del decreto di apertura della liquidazione al fallimento, da cui discende l’improcedibilità delle azioni cautelari ed esecutive e l’inopponibilità dell’acquisto di diritti di prelazione per crediti anteriori. Evidente, in questo caso, l’effetto sostitutivo del liquidatore – come per il curatore – ai creditori nel far valere l’inopponibilità sia degli atti di alienazione, sia dei titoli di prelazione che richiedano formalità trascrizionali ai fini dell’opponibilità ai creditori, di cui il liquidatore si giova al pari del curatore fallimentare. Parimenti, il liquidatore fruisce – a tutela degli interessi dei creditori – degli stessi effetti di cui gode il creditore pignorante sui singoli beni, quali gli atti che limitano la disponibilità dei beni non aventi data certa.
Tali disposizioni sostanziali connotano il ruolo del liquidatore nella gestione (prima che nella liquidazione) del patrimonio di liquidazione, di cui il liquidatore ha l’amministrazione, equiparando – nella sostanza – la gestione dei beni compresi nel patrimonio di liquidazione alla gestione dei beni compresi nel fallimento.
Ulteriormente rilevante appare la disposizione secondo cui il liquidatore, autorizzato dai giudice, esercita, o, se pendenti, prosegue, le azioni dirette a far dichiarare inefficaci gli atti compiuti dal debitore in pregiudizio dei creditori, secondo le norme del Codice Civile. Il liquidatore – non diversamente dal curatore del fallimento – subentra nell’azione revocatoria ordinaria o può anche intraprenderla e così esercita prerogative proprie dei creditori del sovraindebitato.
Se questo è il ruolo che il liquidatore assume nella gestione (e nella liquidazione) dell’attivo, ovvero nell’esercizio di azioni proprie dei creditori volte a soddisfarsi su beni di terzi., il medesimo ruolo il liquidatore deve rivestirlo anche in sede di formazione dello stato passivo. Anche perché lo stato passivo della procedura di liquidazione del patrimonio è finalizzato a collocare nel successivo piano di riparto i diritti dei creditori sul ricavato della liquidazione, non diversamente da quanto avviene nel fallimento. Nel fallimento, il curatore – quando accerta un credito ai fini dell’opponibilità alla massa – opera quale terzo rappresentante della massa e, in questa veste, accerta l’opponibilità delle scritture private che documentano le pretese dei creditori, non diversamente da quanto accadrebbe ai fini dell’opponibilità dei crediti ad opera dei creditori intervenuti in sede esecutiva. Censure, quelle relative all’opponibilità dei crediti, che non possono essere riferibili all’operato del debitore (che ha dato causa all’atto che si vuol rendere non efficace a vantaggio della massa), ma all’operato di un creditore, ovvero di un soggetto che ne eserciti i diritti all’interno della procedura concorsuale e che vengono promosse dal liquidatore in rappresentanza, appunto, della massa dei creditori.
Assumendo, pertanto, il liquidatore il ruolo di rappresentante della massa all’interno dello stato passivo, egli non può ritenersi successore o avente causa del fallito.
Benché lo statuto del liquidatore non faccia menzione di una disposizione analoga a quella che prevede la sostituzione processuale del curatore al fallito , tra i legittimati a impugnare i provvedimenti di esecutività dello stato passivo non può, pertanto, essere ricompreso il debitore, il quale non può sostituirsi, né può esercitare prerogative proprie dei creditori, non diversamente da quanto avviene per il fallimento.

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