Prassi estenuante per la domanda di protezione internazionale: censurata la Questura di Torino
A fronte di precisi dati di fatto, per i giudici è possibile parlare di condotta discriminatoria

Questura condannata per la prassi che rende estenuante per gli stranieri la procedura per presentare domanda di protezione internazionale.
Questa la secca presa di posizione dei giudici (sentenza del 4 agosto 2025 del Tribunale di Torino), i quali hanno ‘censurato’ l’operato della Questura di Torino, accogliendo le rimostranze sollevate da numerosi cittadini stranieri, e hanno ordinato alla Questura di Torino di cambiare rotta prendendo come modello la prassi seguita dalla Questura di Milano.
Decisivi i dettagli della vicenda, così come accertati in ambito giudiziario. Nello specifico, è emerso che molti cittadini stranieri extracomunitari – alcuni privi di documenti, altri in possesso di carta d’identità o di passaporto – hanno manifestato l’intenzione di formalizzare una domanda di protezione internazionale e poi, rivolgendosi all’Ufficio Immigrazione della Questura di Torino, hanno provato, però senza successo, di formalizzare una domanda di protezione internazionale, e ciò sia con ripetuti tentativi di accesso presso i locali degli uffici di pubblica sicurezza (facendo la coda davanti ad essi, spesso mettendosi in fila prima dell’alba, con ogni clima e in ogni stagione), ma anche con tentativi di ottenere la calendarizzazione di un appuntamento per il tramite di richieste indirizzate alla Questura di Torino per il tramite dei rispettivi avvocati. Addirittura, in alcune giornate, gli appartenenti all’Ufficio Immigrazione della Questura di Torino hanno allontanato, tra quelli che attendevano in coda fuori dallo stabile della sede dell’ufficio, alcuni stranieri in ragione della loro specifica nazionalità, cosa che porta ragionevolmente a ritenere, secondo i giudici, che esista un tetto massimo di richieste per ciascuna nazionalità. Invece, sempre alla Questura di Torino, ai cittadini italiani è, per contro, consentita, sottolineano i giudici, la presentazione di una domanda amministrativa volta, ad esempio, all’ottenimento del passaporto, tramite la prenotazione di un appuntamento con l’ufficio competente, prenotazione effettuabile online, analogamente a quanto avviene per la richiesta della carta d’identità.
In sostanza, è evidente, secondo i giudici, la condotta discriminatoria della Questura di Torino, poiché l’accesso dei cittadini italiani ai diritti che presuppongono la presentazione di una domanda amministrativa è agevolato mediante la predisposizione di canali, anche telematici, che non richiedono un’attesa, prolungata, in coda e senza esito certo, al di fuori dell’edificio in cui insistono gli uffici deputati a riceverla, mentre l’accesso dei cittadini stranieri che intendono presentare una domanda di protezione internazionale è viceversa soggetto ad una prassi assai complicata, caratterizzata da: impossibilità di formulare la manifestazione di volontà per via telematica o attraverso altri canali; necessità di mettersi in coda con altre decine di persone, spesso cominciando la coda ad ore antelucane, anche esposti alle intemperie della stagione invernale; assenza di garanzie circa la possibilità di formalizzare la domanda; in caso di esito negativo del primo tentativo di accesso, assenza di priorità in occasione dei successivi tentativi di accesso ai locali della Questura per formalizzare la domanda di protezione internazionale. E, per giunta, sono oscuri, rilevano i giudici, i criteri sulla cui base gli appartenenti all’Ufficio Immigrazione della Questura di Torino operano la scelta per individuare tra le persone in fila quelle alle quali nella singola giornata viene consentito di accedere e formalizzare la domanda di protezione internazionale.
Impossibile escludere la discriminazione a fronte della giustificazione addotta dalla pubblica amministrazione, ossia avere agito – con le scarse risorse disponibili e nella massima trasparenza possibile – per fronteggiare l’enorme numero di persone che intendono chiedere protezione internazionale, precisano subito i giudici.
Al contrario, la prassi in uso presso la Questura di Torino ha effetti che possono essere qualificati come discriminatori, sanciscono i giudici. Ciò perché tale prassi impone mortificanti condizioni alle persone straniere che – in ogni stagione e con ogni clima – si mettono in coda, nella speranza di rientrare tra i prescelti e potere così formalizzare la loro domanda di protezione internazionale, condizioni per accedere all’erogazione di una prestazione pubblica che non vengono imposte ai cittadini italiani che intendono avviare una pratica amministrativa presso un qualsivoglia ufficio gestito dalla Questura. Ai cittadini italiani viene assicurata la possibilità di prenotare l’appuntamento e di avere dunque una ragionevole previsione sui tempi di inizio della trattazione della loro pratica amministrativa, senza essere costretti a mettersi in coda senza alcuna garanzia di successo dei loro tentativi. Inoltre, la prassi imposta dalla Questura di Torino concretizza, secondo i giudici, anche un’ulteriore serie di effetti discriminatori: la mancata possibilità di formalizzare la domanda di protezione internazionale costituisce un ostacolo all’accesso a diritti fondamentali per le persone che aspirano a chiedere protezione internazionale. È sufficiente richiamare alcuni tra i diritti cui è precluso l’accesso in assenza di una formalizzazione della domanda di protezione internazionale nei tempi previsti dalla legge: l’accesso al diritto di asilo; il diritto a soggiornare regolarmente in Italia fino alla definizione della procedura avviata a seguito della presentazione della domanda; il rischio – per chi abbia intenzione di chiedere protezione internazionale senza essere riuscito a formalizzare la domanda – di incappare in controlli, accompagnamenti in uffici di pubblica sicurezza per identificazione, essere destinatario di provvedimenti di espulsione e anche di trattenimento in un ‘Centro per il rimpatrio’; il diritto al lavoro; il diritto alla salute; il diritto all’iscrizione anagrafica; il diritto ad aprire un conto corrente bancario.
È di tutta evidenza, sanciscono i giudici, che la mancata possibilità di formalizzare la domanda di protezione internazionale ha un effetto sul godimento di diritti fondamentali: in modo diretto, per quanto riguarda l’accesso al servizio pubblico erogato dalla pubblica amministrazione (servizio pubblico di recepimento delle domande di protezione internazionale) e per quanto riguarda l’accesso al diritto di presentare domanda di asilo (aspetto che riguarda lo stesso diritto d’asilo); in modo indiretto, in conseguenza del fatto che la mancata formalizzazione della domanda costituisce ostacolo al godimento di altri diritti fondamentali (quantomeno fino a che i vari tentativi di accesso alla Questura non avranno successo).
Peraltro, è illegittima, aggiungono i giudici, anche la prassi della Questura di Torino di rifiutare anche la sola calendarizzazione di appuntamenti richiesti da persone identificate con passaporto e veicolati per il tramite di ‘PEC’ inoltrate dai rispettivi legali muniti di procura speciale.
Tirando le somme, le procedure adottate dalla Questura di Torino Ufficio immigrazione sono illegittime in quanto ostacolano, ritardano e rendono eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’Unione Europea e dallo Stato italiano ai cittadini stranieri che intendono manifestare la volontà di presentare una domanda di protezione, e sono discriminatorie poiché in palese violazione delle norme che impongono la parità di trattamento tra i cittadini italiani e i cittadini stranieri, nonché tra i cittadini stranieri di diversa nazionalità.
Consequenziale l’imposizione alla pubblica amministrazione di adottare rimedi utili a prevenire il ripetersi del comportamento discriminatorio accertato. In particolare, un sistema di calendarizzazione degli appuntamenti, da un lato, evita di sottoporre la platea delle persone che aspirano a richiedere protezione internazionale al ‘sistema della coda’ che (quali che siano le condizioni meteo o la stagione) risulta lesivo della dignità delle persone costrette quotidianamente a mettersi in fila, senza alcuna garanzia di buon esito della attesa e al cospetto dell’eventualità non remota di dovere ripetere la stessa esperienza più e più volte, e, dall’altro lato, il sistema di calendarizzazione degli appuntamenti può assicurare un più efficiente ed efficace uso delle risorse. E in questa ottica il modello organizzativo adottato dalla Questura di Milano rappresenta, chiosano i giudici, un modello organizzativo che appare sufficientemente idoneo a prevenire la reiterazione della riscontrata discriminazione, poiché si fonda su un sistema di calendarizzazione degli appuntamenti gestito su piattaforma informatica e intermediato da enti del terzo settore convenzionati con la Questura di Milano, presso i quali possono rivolgersi le persone che aspirano a chiedere protezione internazionale, distinguendo anche la situazione dei richiedenti protezione internazionale che hanno documenti di identità e quelli che ne sono privi.
In sostanza, il sistema organizzativo adottato dalla Questura di Milano appare sufficientemente idoneo a porre su di un piano di uguaglianza sostanziale i cittadini stranieri ed i cittadini italiani che si rivolgono ad una pubblica amministrazione per attivare un procedimento che possa consentire loro il godimento di diritti fondamentali.