A casa la lavoratrice disabile che è stata assente troppo a lungo: licenziamento discriminatorio perché non si è fatto un distinguo tra assenze per malattia e assenze legate alla condizione di disabil
A inchiodare l’azienda è il criterio applicato per valutare il superamento del cosiddetto periodo di comporto

Licenziamento discriminatorio e, quindi, nullo se la dipendente disabile è stata messa alla portare per avere superato il cosiddetto ‘periodo di comporto’ ma l’azienda non ha fatto distinzione, valutando l’arco temporale trascorso a casa dalla lavoratrice, tra le assenze per malattia e quelle dovute alla sua condizione di disabilità. Azienda condannata, perciò, a reintegrare la dipendente nel posto di lavoro a lei assegnato in precedenza oppure in un altro posto equivalente e con mansioni compatibili col suo stato di salute. In aggiunta, poi, l’azienda deve anche versare alla lavoratrice la retribuzione mensile per il periodo compreso tra la data del licenziamento e quella del ritorno ufficiale in servizio. Per i giudici è sacrosanto parlare di licenziamento discriminatorio. Ciò perché se, come nella vicenda in esame, il criterio di computo delle assenze ai fini del periodo di comporto individuato dal contratto collettivo non distingue tra le assenze per malattia legate alla specifica condizione di disabilità e le generiche assenze per malattia, ha luogo una discriminazione indiretta basata sul fattore dell’handicap quando, in concreto, sia dimostrato che almeno parte delle assenze sono direttamente riconducibili all’handicap stesso. (Sentenza del 9 gennaio 2023 del Tribunale di Parma)