Troppi contratti di somministrazione con ‘missioni’ sempre presso la stessa azienda: logico parlare di rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato

La successione dei contratti e delle relative proroghe dimostra che l’azienda aveva fatto ricorso alla somministrazione non per esigenze di carattere temporaneo, ma per rispondere a un bisogno ordinario di manodopera.

Troppi contratti di somministrazione con ‘missioni’ sempre presso la stessa azienda: logico parlare di rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato

Illegittimi i ripetuti contratti di somministrazione di lavoro a tempo determinato caratterizzati da molteplici ‘missioni’ del lavoratore presso la medesima azienda utilizzatrice. Forte la censura dei giudici, i quali, alla luce del caso loro sottoposto, parlano di palese elusione del carattere temporaneo del lavoro somministrato. Inequivocabili i dettagli della vicenda vissuta da un lavoratore ritrovatosi ad operare, tra il 2012 e il 2016, per ben trentatré mesi presso la medesima azienda, in forza di almeno dieci successivi contratti di somministrazione a tempo determinato, interrompendo l’attività solo in concomitanza delle festività. Legittima, secondo i giudici, la sua pretesa di vedere riconosciuta l’esistenza con l’azienda utilizzatrice di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato . I giudici chiariscono che in situazioni simili è necessario verificare se, in concreto, la reiterazione delle ‘missioni’ del lavoratore presso l’impresa utilizzatrice ha costituito il mezzo per eludere la regola della temporaneità della somministrazione di lavoro. E proprio ragionando in questa ottica viene riconosciuta la natura abusiva del reiterato ricorso alla somministrazione da parte della società utilizzatrice. Ciò perché la successione dei contratti e delle relative proroghe dimostra che l’azienda aveva fatto ricorso alla somministrazione non per esigenze di carattere temporaneo, ma per rispondere a un bisogno ordinario di manodopera. Irrilevante, invece, la circostanza, richiamata dall’azienda, che, nel caso concreto, relativa al mancato superamento del limite di quarantaquattro mesi fissato dal contratto collettivo nazionale di riferimento quale soglia massima di impiego dello stesso lavoratore somministrato. Su questo punto i giudici precisano che l’indicazione delle parti sociali costituisce un mero parametro di riferimento per la valutazione dell’abusività del ricorso alla somministrazione, che non vale certo a escludere il potere del giudice di ravvisare l’abuso anche laddove il limite contrattuale non venga oltrepassato. (Sentenza del 20 marzo 2023 della Corte d’appello di Milano)

News più recenti

Mostra di più...