‘Naspi’ anche al lavoratore dimessosi per giusta causa per non avere potuto accettare il trasferimento
I giudici ritengono non corretta la prassi applicata dall’Inps, che eroga l’indennità di disoccupazione nell’ipotesi di trasferimento a notevole distanza, se vi è stata una risoluzione consensuale del rapporto, mentre, in caso di dimissioni per giusta causa, pretende che il lavoratore provi che il trasferimento non era sorretto da comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive

L’indennità mensile di disoccupazione, nota come ‘Naspi’, spetta anche al lavoratore che si è dimesso per giusta causa per l’impossibilità di aderire ad un trasferimento a oltre 50 chilometri di distanza dalla sua residenza. Così i giudici hanno dato ragione a una lavoratrice nella battaglia con l’‘Inps’. La donna aveva chiesto il riconoscimento della ‘Naspi’ dopo aver rassegnato le dimissioni per giusta causa a seguito dello sgradito trasferimento in un sito produttivo a più di 50 chilometri di distanza dalla sua residenza, a prescindere dalla legittimità del provvedimento adottato dall’azienda. In sostanza, la dipendente e la società hanno sottoscritto un verbale di conciliazione in sede sindacale. E, nello specifico, la lavoratrice ha dichiarato di essere impossibilitata a dare corso al trasferimento su una destinazione che dista più di 50 chilometri dalla sua residenza e di aver formalizzato il rifiuto tramite comunicazione ad hoc, poi seguita da dimissioni per giusta causa, e, inoltre , al fine di evitare l'alea di un giudizio, di porre fine ad ogni qualsiasi tipo di lite insorta e di prevenire liti future con riferimento al trasferimento e alla risoluzione del rapporto di lavoro, la lavoratrice ha confermato le dimissioni, rinunciando ad ogni pretesa connessa e derivata dal rapporto di lavoro intercorso con la società, mentre la datrice di lavoro si è obbligata a corrispondere alla lavoratrice la somma lorda di 1.000 euro a titolo transattivo, nonché la somma lorda di quasi 17.000 euro a titolo di incentivo all'esodo. I giudici ritengono non corretta la prassi applicata dall’‘Inps’, che eroga l’indennità di disoccupazione nell’ipotesi di trasferimento a notevole distanza, se vi è stata una risoluzione consensuale del rapporto, mentre, in caso di dimissioni per giusta causa, pretende che il lavoratore provi che il trasferimento non era sorretto da comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive. Tale prassi distingue senza motivo tra casi analoghi e non è pertanto ritenuta legittima. (Sentenza del 27 aprile 2023 del Tribunale di Torino)