Discutibile mail alla collega e omessa registrazione degli orari: no al licenziamento
Vittoria definitiva per il dipendente di una grossa società. Confermata anche in Cassazione la sua reintegra in azienda. Per i Giudici è eccessiva la linea adottata dall'azienda a fronte delle condotte tenute dal lavoratore.

Niente licenziamento per il lavoratore che tramite una mail viola le regole che sono alla base di un corretto rapporto tra colleghi e che in diverse occasioni non rispetta l'obbligo di registrazione degli orari di apertura e di chiusura dei propri turni. A finire nel mirino è un dipendente di una grossa società. A sorpresa gli viene comunicato il licenziamento: ciò perché gli viene contestata dall'azienda un'insubordinazione concretizzatasi in una mail inviata a una collega, da un lato, e gli viene addebitato, dall'altro lato, l'abuso compiuto con la violazione dell'obbligo di registrazione – degli orari dei propri turni – agli “orologi marcatempo” più contigui alla postazione di lavoro. Per l'azienda vi sono tutti i presupposti per ritenere sacrosanto l'allontanamento del lavoratore.
Per i giudici di Appello le due condotte contestate al lavoratore sono punibili con sanzioni conservative, come da contratto, ossia una multa o la sospensione dal servizio, previste per le trasgressioni che si concretizzino in comportamenti che rechino pregiudizio alla disciplina, all'igiene, alla sicurezza, all'incolumità di persone, all'integrità di cose, avuto riguardo al contenuto della mail rivolta dal lavoratore ad una collega, e per la condotta del dipendente che, senza giustificato motivo, ritardi l'inizio del lavoro o lo sospenda o ne anticipi la cessazione, avuto riguardo alla violazione nella registrazione degli orari. Inutile il ricorso in Cassazione proposto dai legali della società datrice di lavoro.
Anche i Giudici della Cassazione, difatti, ritengono palese l'illegittimità del licenziamento del lavoratore, una volta delineate le censurabili condotte da lui tenute. Decisiva la ricostruzione dei fatti, che ha permesso di catalogare i comportamenti posti in evidenza dall'azienda come non gravi e, quindi, punibili con una sanzione conservativa e non espulsiva. Acclarata, quindi, l'illegittimità del licenziamento, ogni questione concernente la richiesta della società per la conversione del licenziamento per giusta causa in recesso per giustificato motivo soggettivo va disattesa, chiariscono i Giudici di Cassazione.
Per quanto concerne poi la riconducibilità delle condotte del lavoratore alle previsioni della contrattazione collettiva, va applicato, concludono i Magistrati, il principio secondo cui «in materia di licenziamento disciplinare, al fine di selezionare la tutela» in favore del lavoratore «il giudice può sussumere la condotta addebitata al lavoratore, e in concreto accertata giudizialmente, nella previsione contrattuale che, con clausola generale ed elastica, punisca l'illecito con sanzione conservativa, né detta operazione di interpretazione e sussunzione trasmoda nel giudizio di proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato, restando nei limiti dell'attuazione del principio di proporzionalità, come eseguito dalle parti sociali attraverso la previsione del contratto collettivo». (Cass. civ, sez. lav., sent., 3 gennaio 2024, n. 95)